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sabato 19 dicembre 2015

Cibo e identità locale: la rete si concretizza

(03.12.15) Dopo l'uscita del libro "Cibo e identità locale" , ricerca partecipata con soggetto sei cibi di comunità, in occasione degli incontri di presentazione del libro, ma anche del tutto spontaneamente, si sono infittite le relazione tra la rete. A Gandino l'11 gennaio si farà il punto di questi sviluppi aprendo una fase nuova di questa storia di ricerca-azione

Cibo e identità locale:

la rete si concretizza


di Michele Corti


L'occasione della prossima presentazione del libro "Cibo e identità locale"    a Brescia (una delle località protagoniste con il "vigneto Capretti e il vino della Pusterla ) mi spinge a fare il punto con i lettori di Ruralpini di questo progetto così legato ai temi, alle realtà locali, ai personaggi che sono anche al centro dell'interesse del sito.  Quest'autunno si sono svolte presentazioni a Milano (la seconda), a Bergamo, a Teglio (altra località protagonista con il "mitico" grano saraceno autoctono), a Mortara (su invito della locale biblioteca interessata insieme al comune al tema).


Magnifici sei (prodotti agristorici, agrisociali, agriculturali)

A Gandino (mais spinato), Mezzago (asparago rosa), Corna Imagna  (stracchino all'antica) la presentazione era già stata organizzata a primavera.  Ora manca solo Gerola alta (bitto storico) dove si chiuderà il tour nel periodo delle vacanze natalizie.
Al di là delle numerose presentazioni che mi hanno visto impegnato insieme a Sergio de la Pierre e Stella Agostini (gli altri autori del libro) è interessante notare è che si sono sviluppate nel frattempo interessanti iniziative che hanno coinvolto le località protagoniste dei sei casi trattati nel libro e che vanno nella direzione della crazione di una rete basata sulla condivisione non tanto di regole quanto di una filosofia di approccio al cibo locale.
Tra le iniziative più interessanti da segnalare la partecipazione del mais spinato di Gandino, del bitto storico di Gerola e del grano saraceno di Teglio al "Comice agricole" evento svoltosi il 4-6 settembre a Saint Pierre de Chaundieu, comune della Provenza gemellato con Mezzago. A settembre l'asparago rosa non c'è e il comune di Mezzago ha pensato allora di estendere l'invito agli altri membri del circuito "Cibo e identità locale".
Insieme in Provenza

La partecipazione alla Festa agricola in Provenza rappresenta un po' l'esempio di come la rete "Cibo e identità locale" sia in grado di creare condivisione di reti. Piuttosto che un circuito chiuso in sé stesso è un circuito che stimola la crescita di reti e il raccordo tra esse. Gandino con il suo ormai meritatamente famoso "spinato" è un centro propulsore di reti di mais antichi a raggi concentrici (da quelli lombardi a quelli di mezzo mondo). Mezzago è in relazione anche in questo caso con gli altri "luoghi dell asparago" (Cantello, Cilavegna) in Lombardia ma anche in Europa.  Il bitto storico è in relazione con diversi presidi Slow food e formaggi legati ad esperienze di "resistenza casearia" e insieme allo stracchino all'antica di Corna imagna partecipa alla rete dei "Formaggi principi delle Orobie".


Reti di reti

Il grano saraceno di Teglio rappresenta l'unica varietà autoctona italiana della fagopiracea ma attraverso Pro Specie Rara (associazione svizzera) è in relazione con esperienze alpine di recupero di antiche piante coltivate e, attraverso Gandino, con le dinamiche esperienze di recupero di antiche varietà di mais e altri cereali che stanno sviluppandosi in Lombardia e anche in altre regioni del Nord Italia.
Come avevamo indicato nelle conclusioni del libro sarebbe del tutto fuoristrada chi volesse identificare nei "nostri" casi degli esempi di approccio nostalgico alla memoria e al patrimonio locali o, ancor peggio, casi di "localismo difensivo", arroccati nella difesa di tradizioni statiche e di una malintesa mistica passatista.
Capaci di relazionarsi con il proprio passato, di valorizzare la propria identità in forma dinamica e aperta queste comunità , queste esperienze di produzione agroalimentare, pur se piccole, manifestano un grande grado di apertura e di relazioni internazionali .


Innescati dalla ricerca e dal libro partono una serie di rapporti

Le presentazioni del libro - tutto fuorché una "restituzione" formale di una ricerca accademica convenzionale - hanno rappresentato occasioni per "incrociare" le diverse esperienze, raccontate direttamente dai protagonisti, e per infittire i rapporti ma questi ultimi si sono sviluppati anche per altre strade. Il 22 novembre un pullman carico di mezzaghesi,  è arrivato per iniziativa della pro loco a Gerola alta per visitare il Centro del bitto storico. Al di là delle differenze ovvie tra una realtà di montagna e una di pianura vi è l'interesse vivo in questi contatti a scambiarsi idee e formule sulla "neoagricolatura". Fatta in montagna contrastando l'abbandono con le razze autoctone e la riscoperta di tecniche tradizionali o nella pianura minacciata dall'ulteriore espansione della conurbazione milanese l'agricoltura ha in entrambi i casi bisogno di formule ben diverse da quelle dell'agricoltura industriale, formule che - senza dimenticare la sostenibilità economica - sappiano far leva su risorse e valori sociali. Così la coop di Mezzago che dopo tutta una fase storica decide di ritornare alla vocazione agricola e il consorzio degli alpeggiatori del bitto storico scoprono di avere problemi e forse anche risposte in comune. E si è parlato anche di iniziative comuni (tanto interessanti da non dover essere "bruciate" con anticipazioni).


Casi unici (o no?)

Tutti questi contatti "bilaterali" e "multilaterali" per fare il verso al diplomatichese vanno visti come una bella opportunità. Ognuno dei sei "casi" ha una sua forza, una storia che può insegnare qualcosa, una capacità di trascinamento.  Si tratta di casi in un certo senso "speciali" (c'è una sola realtà che grazie ad un attaccamento particolare alla cultura del grano saraceno ha saputo preservare una varietà autoctona, non ci sono vigneti urbani grandi come quello Capretti, non c'è un formaggio come il bitto storico che riesce a inventarsi un movimento di opinione a suo sostegno,  non ci sono una realtà come Mezzago con un circuito così virtuoso tra amministrazione, attività agricole e sociali, non c'è un'altra realtà come Corma Imagna dove un centro culturale promuove la rinascita agricola e opera direttamente in ambito turistico. E tanto meno un'altra come Gandino che da una vecchia spiga di mais ha saputo costruire un progetto da molto ammirato (e invidiato) di valorizzazione agroalimentare e turistica.


Nuovi casi "autocandidati" ad entrare nella rete

Gli autori del libro ma anche i protagonisti delle esperienze di Corna, Mezzago, Gandino, Teglio, Brescia sono consapevoli che queste esperienze, prese ciascuna per la propria specificità, ricchezza e suggestione ma anche nel loro insieme (per quel che di comune che esse posseggono) possono rappresentare uno stimolo, un modello per tante altre realtà, note e meno note, tutte  potenzialmente capaci di partecipare ad una rete con una filosofia comune. All'inizio della ricerca (che risale al 2010) le sei località che poi vennero prese in esame appartenevano ad una rosa di casi più ampia (in totale 18 località della Lombardia). Noi scegliemmo quelle più emblematiche, più promettenti, più ricche alla luce di una pluralità di valenze agricole, sociali, culturali. Al di là delle località "di seconda linea" che, però, una volta esaminate potrebbero rivelare interessanti sorprese intanto si sono affacciati alla ribalta nuovi casi. Quello di Nova milanese è paradigmatico. Nel contesto di una apparentemente disperante realtà di un territorio dove solo alcuni "pori" non sono stati impermeabilizzati e cementificati è nata una nuova esperienza di cibo di comunità . Troppo recente per essere ricompresa nel libro. Nel 2015 sono stati seminati a mais della varietà tradizionale Marano 3 ha di terreno recuperato da una ex cava e, nonostante la siccità, una piccola produzione di farina è stata ottenuta. Il tradizionale pan gialt (di farina di mais e segale) è stato prodotto per la prima volta dopo chissà quanto tempo con farina km 0 che reca il marchio del comune e dell'ecomuseo (realtà recente ma sorta dall'esperienza di lavoro culturale trentennale dell'associazione "Il cortile" presieduta da Mariuccia Elli).

A Nova quest'autunno si è seminata anche la segale, ci si è messi in contatto con Gandino (e attraverso Gandino con il CRA-MAC) di Bergamo inserendosi nel circuito dei "paesi dei mais antichi". Operazioni che hanno potuto realizzarsi grazie all'embrionale rete del "Cibo e identità locale", anche grazie all'incontro del 17 maggio di presentazione del libro al quale era partecipe, come in altre presentazioni, Antonio Rottigni, uno dei papà del Mais spinato con una grande disponibilità a porsi come una risorsa per l'attivazione di relazioni comuni.



Microrealtà capaci di dire qualcosa sugli enormi problemi dell'oggi

Qualcuno continuerà a sorridere di fronte alle cifre di queste esperienze (da una parte investimenti di 3 ha, dall'altra di 10 o 15). Anche il bitto storico che pur interessa centinaia di ha di pascoli in realtà è legato a quelle 1000 forme "Gran riserva" destinate all'invecchiamento e custodite come reliquie nel "Santuario del bitto". Sorrida pure. Poi, però, deve spiegare perché grandi aziende con centinaia di capi in lattazione con la "genetico" top, la tecnologia up to date, che consegnano decine di tonnellate di latte al giorno dicono di non farcela più mentre i nostri casi hanno bilanci in attivo e i sia pure piccoli fatturati in espansione. Con la differenza che se guardiamo i bilanci ambientali, sociali, culturali, etici i nostri casi presentano larghi attivi, le imprese super efficienti iperindustrializzate bilanci etici, ambientali, sociali, culturali in rosso.


La grande differenza tra la "filosofia" della rete del "Cibo e identità locale" e l'agricoltura tradizionale è che pur non dimenticando la sostenibilità economica tutti i nostri casi hanno messo al primo posto obiettivi non economici ma che alla lunga si traducono in implementazione di capitale sociale, umano, territoriale (e quindi anche in valori economici nel contesto di un'economia non speculativa ma che sa lasciare spazio alla società e non intende assimilarla  senza residui al mercato).
La sfida d'ora in poi è quella di dimostrare che se, da una parte, è vero che i "nostri" casi hanno una marcia in più rispetto a molte altre comunità "sedute", senza orgoglio, senza idee, è pur vero dall'altra che ci sono giacimenti insondati di risorse agriculturali e agrisociali da far emergere e che non c'è realtà locale che non riesca, se ne ha la volontà,  a trovare in sé stessa risorse preziose.
Un cibo, una coltivazione, una preparazione alimentare spesso sono la scintilla di iniziative di aggregazione, di nuova economia, di una sfida eterodossa al grigiore dell'uniformità, delle monocolture, della dittatura dei mercati globali e delle tecnologie che ne supportano la penetrazione.

martedì 8 dicembre 2015

Lo "storico" nella rete dei cibi di comunità

Per coloro che fossero interessati a saperne di più sulla rete sorta intorno al progetto "Cibo e identità locale"  riportiamo i testi di una brochure prodotta per presentare il volume che illustra i sei casi e alcune indicazioni sulle caratteristiche che le "new entry" dovrebbero presentare 

Rete dei cibi di comunità:

 una rete aperta





Il  materiale qui presentato costituisce un allegato al volume "Cibo e identità locale. Sistemi agroalimentari e rigenerazione di comunità- Sei esperienze lombarde a confronto. Il volume (20€ di contributo) e la brochure (gratuita) vanno richieste al Centro Studi Valle Imagna


Centro Studi Valle Imagna, Via Vittorio Veneto, 138 24038 Sant'Omobono terme . tel 3281829993

Magnifici sei (prodotti agristorici, agrisociali, agriculturali)







E per entrare?

Nella prima riunione della rete che si terrà a Gandino l'11 gennaio si parlerà anche di allargamento della rete. Il pan gialt da Nöa (pan giallo di Nova milanese) ha già manifestato interesse ad aderire. La porta è aperta anche ad altre realtà, inizialmente in ambito lombardo, poi si vedrà.
Non ci saranno regole predeterminate e procedure burocratiche né tanto meno "tasse di ingresso".
Quello che hanno in comune le sei realtà da cui parte la rete è l'approccio al cibo locale, un approccio che punta a ricostituire e rafforzare legame sociale, coscienza di luogo, cittadinanza attiva, che riporta il fatto agricolo, alimentare in una dimensione di comunità. Non con l'illusione di ricreare le condizioni di un tempo ma per valorizzare, nella realtà attuale, la prossimità, l'appartenenza a un luogo, la continuità di storia e memoria in opposizione alla "liquefazione" sociale.
Al centro non c'è il prodotto ma le relazioni vive tra attori locali, tra prodotto e storia, tra prodotto e identità locale, tra prodotto e paesaggio, forme del patrimonio materiale e immateriale, risorse naturali. Un prodotto può anche essere frutto di un recupero a volte parziale di elementi di una tradizione, di un patrimonio. Quasi sempre si parte da risorse come varietà e razze animali locali ma, dove si sono perse, possono essere ricreate le condizioni per riassegnare un carattere locale ai processi di coltivazione, allevamento, trasformazione, consumo. Valorizzare commercialmente varietà autoctone al di fuori di processi partecipativi, di mobilitazione di risorse della memoria e della socialità ha poco a che fare con i processi di "cibo locale" come li intendiamo noi.

Pensiamo che siano tantissime le comunità che, nella loro storia recente o meno, si siano identificate in un prodotto agroalimentare, in una preparazione, in una modalità particolare di consumo. Ecco da dove partire.
Serve, però, una scintilla. L'elemento chiave quindi è quello della soggettività, della voglia di una comunità di comunicare all'esterno una propria identità, di ricreare connessioni spezzate (anche sul piano economico) facendo leva su un emblema alimentare.Attivando poi azioni concrete nel campo della neoagricoltura ad opera di associazioni, cooperative, neoagricoltori ma anche imprenditori agricoli interessati a uscire dai modelli produttivistici. L'importante è non rimanere chiusi negli steccati, saper operare anche scambiandosi i ruoli superando schemi che l'accelerazione e la fluidità della realtà attuale hanno superato. operare con una visione di luogo e non di "filiera".In ogni caso un progetto di cibo di comunità non può nascere che dal coinvolgimento di più soggetti (amministrazione comunale, pro loco, associaizioni culturali e di promozione territoriale, operatori turistici, agricoltori).

La costituenda rete dei cibi di comunità oltre che operare per rafforzare, con il supporto reciproco, le realtà esistenti può aiutare con l'esperienza dei propri membri altre comunità a superare lo scetticismo, le divisioni interne. Questa azione di animazione è senza dubbio quella più preziosa che oggi la rete può svolgere.
Anche se non va trascurato che in termini di visibibilità e di creazione di un circuito per i prodotti una rete di soggetti che operano su base paritetiche e di solidarietà reciproca oggi può rappresentare una risorsa importante anche quale volano economico.

Chi fosse interessato a sapere di più sulla rete può contattare, se ne ha la possibilità, gli esponenti delle singole realtà (aziende, cooperative, associazioni ecc.) o il Centro studi valle Imagna che è il punto di riferimento editoriale per la rete