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martedì 8 settembre 2015

Bitto storico (caseus vallis biti). Nuovi documenti del '500

(08.09.15)  Si rafforza il mito - fondato su solidissima base storica - del formaggio delle valli del Bitto ovvero di quello che sarebbe bene chiamare ancora con il suo nome storico caseus Vallis Biti.  Sulla base di nuovi bellissimi documenti

di Michele Corti

Cirillo Ruffoni ci ha segnalato nuovi documenti storici che consacrano
già nel Cinquecento il formaggio delle Valli del Bitto quale prodotto con  caratteristiche e prerogative sue proprie, uniche, inconfondibili, che lo rendevano riconoscibile rispetto ai formaggi prodotti in altre zone, tanto da costituire per loro anche un termine di paragone. Scusate se è poco.


Mantenere il formaggio delle valli del Bitto quello che è: un monumento vivente di storia è cultura, deve diventare un impegno ancora più stingente per chi crede che in un'epoca di crisi, come quella che stiamo vivendo, preservare patrimoni di cultura, di saperi  (e di valori) non rappresenti un lusso ma una necessità primaria.
Non ci aspettiamo che lo capiscano le istituzioni che assecondando un'economia globale che vuole fagogitare la società, annullare la storia, lo spazio, le differenze. Difendendo la storia ci assicuriamo un futuro e la piccola-grande vicenda del formaggio delle valli del Bitto diventa un episodio esemplare di una resistenza che è quella dell'uomo, della società contro la mega macchina.
Quell'aggettivo "storico" è stato attribuito con felice intuizione a formaggio delle Valli del Bitto  per gridare la sua differenza, la sua opposizione a quegli "adattamenti" alle "moderne tecnologie" che ne avrebbero decretato la fine.  Ed è stato capito.
Franca Prandi  in una recente pubblicazione cita un documento di recente acquisizione (1). Dal documento notarilesi deduce che  Il 5 luglio 1550 Gio. Pietro de Cataneis di Valleve vendeva a Castellino Beccaria le alpi di val Cervia e val Madre. Il Beccaria era  subito investito a livello per un fitto annuo di libbre 100 di “formaggio grasso, salato e stagionato”, per il primo anno e successivamente:

in bono caxeo bene sucto et salato et bene ordinato qui sit […] pinguedinis et bontatis melioris caxei pingui, sucti, salati Vallis Biti [in formaggio buono, ben stagionato, salato e ben curato, che sia per qualità e per bontà migliore del formaggio grasso, stagionato e salato della valle del Bitto]

Dal che la Prandi conclude che:

Il formaggio grasso prodotto nella valle del Bitto  era già affermato, quindi e soprattutto riconosciuto come prodotto di alta qualità, molto apprezzato dai buongustai e non solo, che già allora veniva smerciato a prezzi piuttosto alti.

Il formaggio delle valli del Bitto era noto non solo in Valtellina e nella limitrofa Val Brembana ma la sua fama doveva essere arrivata lontano. In Valtellina il mercato per un prodotto di elevato pregio era limitato e il formaggio della valle del Bitto era destinato al commercio a distanza raggiungendo Bergamo, Como, Milano e oltre.
In un'opera (edita dopo soli tre anni dal documento citato e che rappresenta una guida gastronomica ante litteram) l'umanista Ortensio Lando raccomanda ai lettori relativamente ai territori valtellinesi e valchiavennaschi: " Non ti scordar... anche i maroni chiavennaschi, non il cacio di melengo [Valmalenco], et della valle del Bitto” (2).

Si può star certi che qualche indagine diretta ai commerci dell'epoca porterebbe sicuramente in luce la presenza del formaggio della Val del Bitto sui mercati delle città citate già nel Cinquecento (e molto probabilmente anche prima).
In Valtellina un altro documento che cita espressamente il formaggio della Val del Bitto era già  segnalato da don Giovanni Da Prada ed è stato esaminato direttamente da Cirillo Ruffoni presso l’archivio di Stato di Sondrio.  Questo documento riferisce che il 26 febbraio 1596, Bernardino figlio di Gaspare Tassella di Sondrio promette a Gian Pietro figlio di Gian Giacomo Parravicini di Sondrio, di consegnare i seguenti beni: 67 condi di vino; due pezze di panno bianco di braccia 30; 30 forme di formaggio della valle del Bitto (casei vallis Bitti).
Questa forma c'è ancora. Storia vivente. Il formaggio storico Val del Bitto (caseus Vallis Biti) è sempre quello: prodotto solo nella valle del Bitto, con il latte di capra Orobica, senza fermenti e mangimi industriali



Nel secolo successivo in un registro dell’ Hosteria granda di Tirano -  il più qualificato esercizio alberghiero della Valtellina dell'epoca – in data 1629 e 1671 si rinvengono annotazioni relative alla vendita di alcune forme di "formaggio Val del Bitt". Vengono riportati i prezzi di acquisto di alcuni formaggi e quello "Val di Bitt", venduto a 11-13 lire il peso,  è superiore anche al "formaggio grasso tedesco" (venduto a 9 lire il peso) mentre il "formaggio grasso" valtellinese era venduto a sole 5 lire il peso. Probabilmente il "valtellinese" era un formaggio dell'ultima stagione di alpeggio, poco adatto alla lunga stagionatira mentre il Val del Bitt sarà stato un formaggio di 2-3 anni. Dopo secoli le cose non sono cambiate.
Fino al 1993 il "formaggio grasso della Valtellina" ha continuato ad essere chiamato così (vedi il marchio della Camera di Commercio). Con il riconoscimento della dop, miracolosamente, il "formaggio grasso Valtellina" che solo sino a due anni prima non poteva essere marchiato "Bitto" è stato promosso a Bitto da quelle stesse istituzioni che "certificavano" che il Bitto doveva essere prodotto solo negli alpeggi della comunità montana di Morbegno (e non in Valchiavenna, né in alta Valtellina, né nella comunità montana di Tirano e neppure in quella di Sondrio).

Un vero miracolo della politica perché la Dop presuppone una produzione attestata da almeno 25 anni. Nel caso del Bitto la "storicità" della produzione del Bitto in Valchiavenna, in alta Valtellina, nella comunità montana di Tirano e in quella di Sondrio... è stata limitata a due anni). Nessuno ha contestato, nessuno ha obiettato, la regione ha accettato, il ministero anche, l'Europa pure. Cosa certificano Regione, Ministero, Europa?
 Al formaggio storico della Val del Bitt basta e avanza il certificato di denominazione attribuito dalla storia, un certificato che vale infinitamente di più delle certificazioni burocratiche dove la politica può capovolgere la verità.


Note


(1) F. PRANDI (2014) “Fritole e trutalia”: che cosa si mangiava nella media Valtellina nel Seicento, in Bollettino della Società Storica Valtellinese n. 67, p. 236. Riferimento: ASSo, Notarile, n. 774, Paolo Ferrari, sabato 5 luglio 1550.



(2) G. DA PRADA (1955) Il Bitto e il Sassella nel secolo XVIin Elzeviri di toppa, 1955, pp. 23-24; ASSo, Notarile, Bartolomeo Malacrida, vol. 1677, ff. 252-253.


(3) O. LANDO (1553)  Commentario delle piu notabili, & mostruose cose d'Italia, & altri luoghi: di lingua Aramea in italiana tradotto. Con vn breue catalogo de gli inuentori delle cose che cose che si mangiano et beueno, nouamente ritrovato, Cesano Bartolomeo, Venezia, p. 7.(4) D. ZOIA (1996) L' "Hostaria granda" di Tirano : Approvvigionamenti, arredi e servizi di un albergo nel secolo XVII  in: Bollettino della Società storica valtellinese, n. 49 :143-174.

(4) D. ZOIA (1996) L' "Hostaria granda" di Tirano : Approvvigionamenti, arredi e servizi di un albergo nel secolo XVII  in: Bollettino della Società storica valtellinese, n. 49 :143-174.




mercoledì 2 settembre 2015

Bitto storico: nuova fase. Con coraggio


da Cheese in poi sarà un  autunno di grandi novità.
Il 10 novembre si tireranno le fila di un accordo con le istituzioni sin qui a dir poco deludente. Intanto si cercano cultori della mungitura a mano  per la prossima stagione d'alpeggio



di Michele Corti




(02.09.15) La stagione d'alpeggio 2015 si sta chiudendo con una bilancio molto negativo in termini di quantità prodotta, causa della pesante siccità di luglio. Sul fronte dei rapporti con le istituzioni l'accordo siglato in pompa magna nel novembre 2014 si sta rivelando un bluff. Stimoli per i "ribelli del bitto" per rilanciare con forza l'originalità delle loro esperienza facendo leva sui suoi punti di forza

Sarà un autunno decisivo per il Bitto storico. L'accordo "storico" dello scorso anno, con tanto di presenza di assessore regionale a sancire la fine della ventennale "guerra del bitto", è rimasto in larghissima misura un pezzo di carta. Già questa primavera (28.04.15. Ciapparelli: va rispettato l'accordo sul bitto) era apparso chiaro che le istituzioni non avevano intenzione di onorare lettera e spirito di quanto faticosamente concordato. Non ci sarà comunque una ripresa della "guerra del bitto", che è ormai archiviata. La collaborazione con il Consorzio (Ctcb) si è rivelata possibile e non è in discussione la volontà di collaborare con tutti i produttori di bitto.
La sinergia tra bitto storico e bitto dop è possibile in un unico "sistema bitto", così come sarebbe possibile la sinergia con il sistema agroalimentare valtellinese (con le debite distinzioni tra ciò che è artigianale ed industriale). Il punto è un altro: ci sono interessi politici-imprenditoriali che non "digeriscono" ciò che il bitto storico significa: un modello di gestione economica indipendente, al di fuori di logiche clientelari e di  sottomissione ai "poteri forti", un modello che non transige su principi di trasparenza e onestà.


Dietro le istituzioni ci sono interessi organizzati che decidono quello che le istituzioni devono fare. La Camera di Commercio ha siglato solennemente un accordo, con tanto di benedizione della Regione, ma se qualche Don Rodrigo stabilisce che "quel matrimonio non sa da fare" i Don Abbondio delle istituzioni (peraltro legati da comunanza di interessi con i potentes) si adeguano e moltiplicano gli "impedimenti".
Di certo non induce i "ribelli del bitto" a piegarsi a condizioni poco onorevoli la constatazione che per rispettare l'accordo sul bitto i soldi "non ci sono" mentre per la deludente esperienza Expo si è assistito ai soliti sprechi di denaro pubblico. C'è tempo sino al 10 novembre per chiarire se un anno prima si era su "Scherzi a parte" o no.

La lezione della siccità

Paolo Ciapparelli, presidente del Consorzio bitto storico aveva stigmatizzato l'indifferenza delle istituzioni (mentre in Svizzera intervenivano gli elicotteri e i Canadair) rispetto alla disastrosa siccità che a luglio ha colpito gli alpeggi (23.08.15 Siccità sugli alpeggi. Colpiti i pascoli più sostenibili). Unica reazione quella della Coldiretti (Andrea Repossini si è recato al Centro del bitto storico a Gerola. Il calo di produzione ha colpito gli alpeggi in modo disomogeneo ma in alcuni la produzione è dimezzata (vacche che di solito davano 7-8 kg al giorno di latte scese a 3-4). In generale dove si produce bitto storico si è perso un 30%. Una "calamità", però molto circoscritta, che quindi non muoverà a iniziative di aiuto anche perché chi in alpeggio usa i mangimi ha risentito molto meno del calo produttivo. Chi non ama il "bitto ribelle", perché non si piega alla logica delle mucche-macchine-da-latte, dei mangimi industriali, dei fermenti industriali nel latte, si sarà fregato le mani. In realtà l'alleanza tra anticiclone africano e agroindustria è un fatto oggettivo: la zootecnia intensiva, con l'uso di mangimi, concimi chimici, carburanti contribuisce pesantemente alla produzione dei gas serra mentre i  sistemi di pascolo estensivi sulla base di ricerche sperimentali eseguite in Trentino,  sono caratterizzati da un assorbimento
netto di gas serra (Berretti F, Baronti S, Lanini M, Maracchi G, Raschi A, Stefani P, 2007. Bilancio dei flussi di tre gas serra (CO2, CH4, N2O) in un prato-pascolo alpino: confronto tra 2003 e 2004. Clima e cambiamenti climatici: le attività di ricerca del CNR.)


I virtuosi, come i produttori del bitto storico, che seguono la filosofia dell'adattamento all'ambiente, del riciclo di materia, del minor consumo possibile di energia fossile, subiscono le conseguenze del cambiamento climatico, chi ne è responsabile ne sfugge largamente.  Il perché è facile a dirsi: il meccanismo del mercato mondiale, la spinta alla risparmio di manodopera, all'uso di energia vanno in direzione contraria alle esigenze di salvaguardia ambientale. Il microcosmo del bitto riflette un dramma mondiale. Il punto è proprio questo: finché vigono la logica del mercato globalizzato, del cibo ridotto a oggetto di speculazione, la prevalenza politica degli interessi industriali e speculativi le politiche sull'ambiente e il clima sono solo green washing, foglie di fico, anzi spesso pretesti per operazioni green (vedi biocombustibili) che determinano più acuto sfruttamento dell'uomo e delle risorse ambientali.


Di fronte a questi problemi planetari cosa può fare il bitto storico? Essendo diventato un simbolo concreto di un'economia morale che fa appello ai valori (oltre a una qualità indiscutibile) per affermare logiche che con il mercato hanno poco a che fare e che... continua (contro ogni previsione) a vivere, esso può fare molto in termini di esempio. Può contagiare altre realtà con la sua utopia concreta e positiva (folle è invece il "realismo" di chi pensa che i meccanismi del mercato e del profitto possano "aggiustare" un pianeta malato). Ma per farlo deve giocare fino in fondo il proprio ruolo. E come? Tanto per comunicare comunicando al consumatore, al coproduttore (parliamo sia di consumatori attivi che di chi ha sottoscritto quote della società che supporta commercialmente l'avventura del bitto storico) cosa costa restare fedeli a un programma di rispetto del latte, dell'erba. Cosa significa subire i contraccolpi di condizioni naturali incontrollabili, di una natura che diventa matrigna con chi la rispetta (forse perché si ribella a chi non la rispetta).
Al consumatore si mostrerà come "sorge" il prezzo a partire da quanto conferito al primo produttore (l'alpeggiatore che consegna al Centro il bitto ancora fresco a settembre). Un prezzo che potrebbe premiare in modo differenziato non solo la qualità intrinseca ma anche il grado di fedeltà ai principi che fanno del bitto storico un prodotto che è un modello di qualità da secoli (c'è un nuovo bellissimo documento del 1550 che lo conferma di cui parleremo in un prossimo articolo).

Produrre bitto storico e mungere a mano è rivoluzionario... ma non esattamente in questo senso

Una nuova "leva" di ribelli

Il bitto storico è un grande movimento di opinione, forse anche qualcosa di più. Il fatto che intersechi i confini rigidi ma convenzionali di economia, società, morale, politica lo rende pur nel suo microcosmo capace di innescare processi imprevedibili. Sinora la capacità di scompaginare le carte, di non accettare le "regole del gioco" imposte da chi è più forte gli hanno consentito di sopravvivere (il che è già una vittoria strepitosa contro ogni previsione). Oltre a coinvolgere maggiormente i coproduttori (acquirenti, soci della società "Valli del bitto") il bitto storico intende anche coagulare e capitalizzare quel più ampio movimento di persone (gli "amici del bitto storico") che lo appoggia perché ne ammira la coerenza con valori che altri proclamano ma si incaricano di smentire ad ogni occasione.
E poi c'è una iniziativa che si sta già mettendo in modo quando la stagione d'alpeggio non è ancora finita: la ricerca (e la selezione) di cultori della mungitura a mano in grado di sopperire alla crescente "fame" di  pastori capaci di mungere un numero adeguato di vacche (e di farlo bene). Ci vuole molta più manodopera negli alpeggi che praticano la mungitura a mano e manodopera non qualsiasi.
L'idea è di allargare la "chiamata" a tutti coloro che in Italia, in Europa e anche più in là sono esperti e appassionati di mungitura a mano e desiderosi di fare un'esperienza in una realtà di rilievo internazionale come quelle del bitto storico. Giovani e meno giovani, ragazzi e ragazze. Forse chi viene da realtà di montagna e da una cultura pastorale è senz'altro un miglior candidato "naturale" ma tra chi oggi pratica la mungitura a mano in piccole aziende attentissime al benessere animale e alla qualità del latte ci sono anche giovani che si sono sottratti ad un'esperienza metropolitanae che possono supplire con la motivazione.
Per chi riuscirà a inserirsi nella realtà del bitto storico c'è la possibilità di assimilare una grande esperienza, magari con la prospettiva di lavorare tutto l'anno, di acquistare dei propri animali (partendo dalle meravigliose capre Orobiche). Il bitto storico vuole essere incubatore di iniziative di giovani coraggiosi e non conformisti.

Intanto c'è l'appuntamento di Lenna

L'interesse al di là di ogni previsione del "campionato mondiale di mungitura" che si terrà anche quest'anno a Lenna presso buoni amici del bitto storico (22.08.15. Dalle Puglie con la sua mucca  per la gara di mungitura a mano) è significativo (come nel caso delle gare di falciatura a mano) di un interesse per mantenere "arti" che la modernizzazione ha largamente messo in soffitta ma che hanno accompagnato la storia dell'umanità e che è sbagliato abbandonare.


Andrà chiarito che non basta amare "platonicamente" la montagna e gli animali (come tanti ragazzi di città) ma che bisogna avere esperienza o essere psicologicamente e fisicamente attrezzati per lavorare tre mesi in montagna in condizioni che per alcuni aspetti sono "quelle di una volta". Certo con le gratificazioni - per chi le sa apprezzare e ricercare - del contatto con gli animali, con persone schiette, con i cieli stellati e le fredde albe della montagna.  Qualcuno che pensa di essere già in grado di fare il pastore e di mungere quindici vacche dovrà magari accontentarsi di fare il cascin il "pastorello" (comunque pagato) e di "farsi le ossa".


L'importante è non piantare in asso chi conta su di te dopo una settimana o un mese, quando diventa un problema rimpiazzare che lascia. Per questo la "selezione" sarà severa.  Del resto da tempo il bitto storico ha in programma di allestire una "stalla didattica" e una "scuola di alpeggio" e questo tipo di iniziativa (la leva del bitto, ovvero dei nuovi pastori) rientra nelle sue corde.  Non è mai stata una realtà economica punto e chiuso, tanto meno commerciale quella del bitto. Dall'inizio c'era il programma di rilancio della montagna, di rivitalizzazione a partire dalla valorizzazione e dalla gestione di quelle che sono preziose risorse, in modo autonomo e senza dipendere da aiuti e direttive dall'alto. Al programma di vent'anni fa il bitto storico sta tenendo fede. E andrà avanti anche se le istituzioni continueranno a boicottarlo. Devono sapere, però, che qualora - come è inevitabile - ci saranno dei rivolgimenti, chi oggi combatte il bitto storico per l'egoismo di interessi consolidati, sarà chiamato a renderne conto davanti alla comunità.


Ti candidi per diventare "pastore del bitto storico"?

scrivi a:

info@formaggiobitto.com

requisito(da accertare in largo anticipo prima dell'alpeggio)
mungere a mano 15 vacche
adattarsi alla vita spartana ed esposta agli agenti atmosferici dell'alpeggio


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