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martedì 20 settembre 2011

COMUNICATO STAMPA 20.09.2011




A Bra (Cheese 2011) il Bitto storico consacrato re dei formaggi

Non è esagerato sostenere che l’edizione di Cheese del 2001 ha avuto per protagonista il Bitto storico. Per tre giorni (da venerdì 16 a domenica 18) si sono svolti laboratori, degustazioni, presentazioni che al centro avevano lui: il Bitto storico Presidio Slow Food. Venerdì nell’ambito del laboratorio dei giovani casari Cristina Gusmeroli di Dazio, diciassettenne casara del Bitto storico all’alpe Orta Vaga ha commosso i presenti – che si sono alzati in piedi ad applaudirla - con la sua spontaneità, unita a determinazione e competenza. Sabato c’è stata la prima presentazione ufficiale del libro di Michele Corti “I ribelli del Bitto” (Slow Food editore) che Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità, non ha esitato a definire, “un avvenimento importante”. Domenica ancora Bitto storico protagonista del laboratorio del gusto: “Valtellina forziere di bontà”.

L’apoteosi è stata però raggiunta lunedì quando nel teatro Politeama di Bra, gremito per la consegna dei premi ai “Locali del buon formaggio”, sono state battute all’asta tre forme di Bitto storico del 1998, 1997 e 1996. Le più ‘giovani’ sono state tagliate e porzionate in quarti, da un emozionatissimo Paolo Ciapparelli presidente del Consorzio ‘ribelle’ per la salvaguardia del Bitto storico. La più vecchia è stata ‘graziata’ ed è stata battuta intera.
Il ricavato, di ben seimila euro, è stato devoluto a Slow Food per la sua campagna di sostenibilità alimentare “mille orti per l’Africa”. Mai prima di ieri un formaggio era stato venduto per queste cifre. Un fatto storico che significa che, sulla scia del Bitto storico, il formaggio di altissima qualità può aspirare a entrare in una dimensione diversa dai valori economici del cibo, una dimensione che si avvicina a quelli dei beni preziosi e rari quali i migliori vini vintage e le opere d’arte. I formaggiai di tutto il mondo (quelli artigianali si intende) dovrebbero ringraziare i ribelli del Bitto che stanno aprendo una nuova strada, una strada che può incoraggiare giovani in gamba a entrare nel settore, a divenire casari d’alpeggio, pastori-casari, artisti del latte.

Ma il colpo di scena c’è stato quando la forma del 1996 (casaro Faustino Acquistapace di Gerola, prodotta all’alpe Trona Vaga) è stata aggiudicata dopo alcuni rilanci da Gino Cattaneo, patron del ristorante-Hotel La Brace di Forcola per per 2.200 € . Cattaneo ha motivato il gesto dicendo: “Ho voluto che tornasse a casa”. Così la forma decennale tornerà nel Santuario del Bitto a Gerola alta per arrivare alla “maggiore età” secondo la volontà di Cattaneo. L’esito dell’asta e il colpo di scena del ritorno a casa della forma più vecchia ha colpito il pubblico ma anche lo stato maggiore di Slow Food che era presente al completo (a partire da un entusiasta Carlin Petrini che il 30 ottobre sarà a Sondrio a sostenere il Bitto storico). Il Bitto storico non cessa di stupire per le passioni che sa suscitare, per l’accanimento con cui viene difeso e sostenuto dai suoi fan, anche da coloro che non sono né direttamente, né indirettamente coinvolti nella sua produzione e commercializzazione.

Il Bitto storico ha saputo mettere in mostra a Bra oltre al lato combattivo e ribelle che contraddistingue da diciassette anni i ‘guerrieri del Bitto’ (e senza il quale non esisterebbe più, spazzato via dai centri di potere burocratico, economico e politico), anche la loro grande passione e il loro amore per le cose buone pulite e giuste. Essi donando i loro gioielli più preziosi (e ricomprandoli a caro prezzo) hanno reso palese al mondo (quantomeno quello del formaggio) il loro spirito di solidarietà.
Il loro spirito costruttivo è stato dimostrato anche dal ruolo chiave svolto dal Bitto storico nel cementare l’alleanza dei formaggi ‘Principi delle Orobie’. Una unione che a Cheese si è resa visibile a tutti in un grande spazio di 350 mq denominato ‘Piazza della Resistenza casearia’ dove si sino svolte innumerevoli degustazioni di Bitto storico ma anche di Strachitunt, Agrì di Valtorta, Formai de Mut. L’unione Orobica che ha tenuto alta l’immagine casearia della Lombardia (e non solo delle provincie orobiche) rappresenta però anche un ammonimento per la Valtellina. Il Bitto storico è infatti deciso a gravitare sempre di più sul versante bergamasco e la “secessione dalla Valtellina” deve essere sempre più presa sul serio da chi ha combattuto e continua a combattere i produttori storici. I circoli economici e politici valtellinesi se vorranno che la Valtellina possa tornare a fregiarsi del prestigio del Bitto storico dovranno fare non poche autocritiche. Intanto già nel prossimo week end a Branzi l’unione dei formaggi orobici, presente l’assessore regionale De Capitani, avrà modo di mostrare le sue potenzialità; potenzialità che si vorrebbero concretizzare nella creazione di un Distretto rurale interprovinciale.

Sul piano pratico, al fine di scoraggiare coloro che  sull’onda del trionfo del Bitto storico a Cheese potrebbero pensare di approfittarne, il Consorzio per la salvaguardia del Bitto storico ci tiene a far sapere che 1) il Bitto storico reca sul piatto delle forme solo indicazioni vergate a mano con inchiostro alimentare e non utilizza etichette di alcun tipo (pelure); 2) da oggi usciranno dalla casera di stagionatura (il Santuario del Bitto) solo forme autografate una ad una dal casaro e dal presidente del Consorzio Paolo Ciapparelli. Senza queste firme chi acquista del Bitto sappia che non sta acquistando Bitto storico Presidio Slow Food.

20 settembre 2011
Michele Corti
portavoce Consorzio salvaguardia Bitto storico Presidio Slow Food

Dopo tre giorni di trionfo un'asta decreta l'apoteosi per il Bitto storico orobico Presidio Slow Food

(20.09.11) Presente tutto lo stato maggiore di Slow Food e i rappersentanti dei Locali del Buon formaggio di tutta Italia, al teatro Politeama di Bra ieri si è tenuta un'asta eccezionale. Mai nella storia un formaggio era stato battuto a questi prezzi. Tre forme incassano 6.000€
  

Quello che è successo ieri a Bra passerà alla storia, non solo del formaggio. È successo infatti qualcosa di irripetibile: si è aperto un nuovo capitolo in cui finalmente un formaggio straordinariamente affinato arriva a quotazioni di migliaia di euro.

Il formaggio di alta qualità, grazie al Bitto storico orobico Presidio Slow Food,  entra in una dimensione nuova in cui sinora era il vino a fare da mattatore incontrastato. L'effetto di trascinamento può essere determinante per rilanciare il mondo del formaggio artigianale, degli artisti del latte, dei pastori, dei malgari. Si apre una speranza per tanti giovani disposti a sottoporsi a duri sacrifici ma che sappiamo non potranno resistere senza un ritorno in termini di riconoscimento sociale e di gratificazione economica. Per dare queste speranze è necessario che il formaggio industriale e quello degli artisti del latte, dei pastori, dei piccoli produttori, dei malghesi abbiano statuti differenti. Il prezzo, per quanto importante, è solo un aspetto di questa differenziazione.

Ma veniamo ai fatti. Ieri matttina, a Bra, nell'ultimo giorno di Cheese in un teatro Politeama gremito era riunito lo stato maggiore di Slow Food in occasione della consegna del riconoscimento di Locale del buon formaggio ad osterie, ristoranti, rivendite specializzate. L'asta dei bitti ultravecchi si è svolta in questo contesto, alla presenza di Carlin Petrini, Silvio Barbero, Piero Sardo e Roberto Burdese. Un emozionato Ciapparelli (il guerriero del Bitto) ha avuto l'onore (e l'onere) di tagliare forme del 1997 e 1998. Nonostante la precedente tassellatura l'ansia per il risultato era forte. "Avevo paura che il coltello non trovasse resistenza, che ci fossero dei vuoti, ero tesissimo".  Nonostante la tensione Paolo ha ricordato a beneficio del pubblico le tappe fondamentali della vicenda dei ribelli del Bitto sottolineando come, in alcuni frangenti, l'appoggio di Slow Food sia stato cruciale. Esso è stato in tutti questi anni il sostegno principale alla causa del Bitto storico.
Roberto Burdese

I produttori del Bitto storico orobico hanno inteso esprimere il loro ringraziamento per la sponda loro offerta da Slow Food e la incondizionata fiducia riposta in loro dal movimento della chiocciola (e daPiero Sardo in particolare) dedicando a Slow Food una straordinaria asta. Mettendo all'incantoforme del 1998, 1997 e 1996. Il Bitto storico è formaggio che stagiona sino a dieci anni e lo si è voluto dimostrare.


L'incasso dell'asta verrò a sua volta devoluto da Slow Food alla campagna mille orti per l'Africa che punta ad indicare un modello di sostenibilità alimentare costruito dal basso. Un grande formaggio per una grande causa.

Piero Sardo

Qualche parola sulle forme. La prima venne prodotta nell'estate del 1996 dal casaro Acquistapace Faustino all'alpe Trona Vaga. Un casaro eccezionale ora ritiratosi e con gravi problemi di salute. Quando ha saputo che la sua forma di dieci anni fa era la star di un grande evento di risonanza più che nazionale Faustino si è commosso alle lacrime. Il 1996 è anche un anno simbolo per il Bitto. È l'anno del riconoscimento nazionale del Bitto Dop, quello esteso inopinamente a tutta la Valtellina e persino alla Valchiavenna secondo la logica un po' becera che una produzione tipica deve corrispondere a confini amministrativi e politici ed espandersi su un'area vasta, in modo da 'avere i numeri'. In quella occasione vennero anche 'dimenticate' delle alpi storiche da Bitto in territorio brembano (Bg) e valsassinese (Lc).
Le prime due forme (1997 e 1998) sono state prodotte dal casaro Duca  Carlo, un govane (allora giovanissimo) che rappresebnta tutt'oggi una grande promessa per il Bitto storico. Carlo, soprannominato Tex Willer per la passione per i capelli western e il fazzoletto al collo,  ha una particolare 'mano' per le lunghe stagionature. I suoi bitti nei primi anni di età potrebbero anche non reggere il confronto con quelli di altri casari, ma dai tre anni in su conoscono una crescita qualitativa impressionante. Le forme di Carlo sono state  messe all'incanto in quarti di circa 2,5 chili ciascuno e sono state battute fra i 310 e i 430 euro al pezzo. Ovazioni. 
Silvio Barbero, il battitore

Quando è arrivato il turno di quella del 2006, prodotta da Faustino c'è stato il colpo di scena. la forma è stata messa all'incanto per intero (circa 12 chili) ed è stata battuta a 2.200 euro. Se l'è aggiudicata Virginio Cattaneo, titolare del ristorante La Brace di Forcola (So) e socio dalla fondazione della società Bitto trading spa, la società etica che rappresenta il braccio commerciale dei ribelli del Bitto e che conta tra i soci il Consorzio stesso dei produttori ribelli e i singoli produttori oltre a piccoli imprenditori, professionisti e sostenitori (coproduttori).


Cattaneo, che era a Cheese venerdì e sabato è apparso a sorpresa e non nascondendo la sua emozione, ha spiegato le ragioni dell'acquisto: "riportare a casa" la forma, restituendola al Santuario del Bitto  dove potrà continuare a stagionare ancora sino al giorno in cui “sarà maggiorenne”, ovvero fra tre anni. Questo coup de theatre ha molto colpito i presenti. La storia di Gino che 'paga due volte' la forma, prima contribuendo alla società del Bitto storico (una società etica senza utili) e poi ricomprando la forma ha fornito la misura delle passioni e delle convinzioni che animano la gente del Bitto storico, gente delle orobie ma anche delle città. Gente che ha identificato in questa vicenda concreta, ma altamente simbolica al tempo stesso, la scommessa sul futuro del cibo e dell'uomo. Alla presentazione del mio libro "I ribelli del Bitto" che si era tenuta sabato Piero Sardo con il pessimismo della ragione aveva affermato che la battaglia per il cibo buono pulito e giusto merita di essere combattuta anche se è molto probabile che sarà persa. Forse, però, dall'asta del Bitto storico noi tutti possiamo ricavare qualche elemento di speranza in più. Carlin Petrini (sotto con Gino che regge la forma da 2.200 €) di fronte a quanto successo si rivolto a Ciapparelli e gli ha detto "pensavo di essere matto, ma qui vedo gente più matta di me". Se ci sono questi "matti" la speranza c'è.

A Cheese trionfo del Bitto storico e dell'alleanza della tradizione casearia orobica

(19.09.11) Protagonista di Laboratori, degustazioni, e di un successo di vendite (con i prezzi più alti in assoluto) il Bitto storico ha conquistato a Cheese2011 lo scettro di re dei formaggi e al tempo stesso il riconoscimento di capofila del movimento della resistenza casearia


Giornate esaltanti per il Bitto storico a Bra. Tanti, tantissimi riconoscimenti, meritati grazie ad anni di lotte e di sacrifici. Un successo che è frutto di una lunga storia, dei casari e pastori che hanno saputo tenere viva la tradizione ma anche di tantissimi altri 'ribelli del Bitto' che con il loro lavoro volontario e il sostegno economico hanno costruito quello che oggi è divenuto un mito inaffondabile.

Il contrasto tra i riconoscimenti tributati a Cheese al Bitto storico e il trattamento che ad esso  è riservato dalle istituzioni (locali e non) è sconcertante. A Bra per quattro giorni il Bitto storico è stato protagonista di laboratori, degustazioni, interviste a raffica, aste. Senza contare la presentazione del libro "I ribelli del bitto". Ogni giorno della rassegna c'è stato almeno un evento importante sul tema del Bitto. Non parliamo dello spazio che gli è riservato nei comunicati ufficiali.


Il Bitto è stato consacrato re dei formaggi d'alpeggio, punto di arrivo della qualità che solo i prodotti a latte crudo, ottenuti al pascolo (senza integratori)  senza aggiunta di fermenti selezionati sanno raggiungere.  Ma è un nobile ribelle, emblema della resistenza contadina e casearia. Un modello che regala speranza ai tanti piccoli produttori che caparbiamente resistono, sfidando le normative e un mercato poco generoso con chi produce qualità e riproduce valori. Il Bitto storico rappresenta un'economia morale in cui non c'è solo la passione e l'attaccamento dei produttori alla loro cultura, ai loro saperi, c'è anche una mobilitazione molto moderna (anzi, post-moderna) di tante energie del volontariato, c'è una incredibile rete di solidarietà. C'è un caso concreto di community supported agriculture, di una 'filiera' in cui i privati suppliscono all'assenza (che con il Bitto storico è anche ostilità) delle istituzioni, in cui i privati, la community del Bitto storico (locale e non) ha saputo investire centinaia di migliaia di euro ma, anche un numero incalcolabile di ore di lavoro volontario.


Emblema della resistenza casearia (spiegata al pubblico nei banner delle foto sopra e sotto) il Bitto storico e i suoi fratelli dell'alleanza dei formaggi orobici sono stati gratificati di uno spazio e di una visibilità notevoli nell'ambito di Cheese. Il Bitto storico ha avuto assegnato il primo delle decne di stand (10 mq) dei Presidi, in via Marconi. Con il vantaggio che mentre gli altri stand avevano solo un fronte sulla strada quello del Bitto storico era aperto su due lati con doppio sviluppo lineare di banco vendita. Ma quello che ha dato visibilità è stato lo spazio (ex mercato dei polli) di 350 mq dove oltre agli stand dei formaggi orobici e di piccoli produttori ospiti del Bitto e degli altri orobici. Una espressione di apertura e di solidarietà che la dice lunga sullo spirito che anima l'alleanza orobica, che nasce al di là dei campanilismi e dei limiti amministrativi di provincie e comunità montane.  Nel grande spazio occupato oltre che dagli stand anche dai pannelli illustrativi dei formaggi orobici e da un 'ristorante' da cinquanta posti si sono susseguite le degustazioni.


Lo spazio è stato intitolato Piazza della Resistenza Casearia: piccoli produttori per grandi formaggi. Strameritata dal Bitto storico, prototipo di resistenza casearia, questa intitolazione è risultata quanto mai appropriata anche per i piccoli produttori ospitati ma anche per un prodotto orobico come lo Stracchino all'antica, realizzato da piccolissimi produttori, per il Formai del Mut, realizzato (in estate) sugli alpeggi della val Brembana nello stesso territorio del Bitto. Va poi ricordato che anche lo Strachitunt e il Branzi FTB che sono prodotti in caseifici cooperativi (di dimensione comunque non industriale) stanno sostenendo da tempo una difficile battaglia per difendere le rispettive denominazioni dai prodotti di caseifici di pianura che sfruttano queste denominazioni.


Durante tutto Cheese si sono susseguite le interviste al 'guerriero del Bitto'. Alcuni giornalisti sono venuti anche nel calécc, uno spazio relativamente tranquillo.


Mentre da una parte si vendeva Bitto storico a manetta e dall'altra si mesceva la sublime birra ZAGO (sostenitrice del Bitto storico) e si susseguivano le degustazioni nel calécc si poteva parlare comodamente seduti. Spesso con un assaggio di Bitto storico o di qualche altra specialità particolare. Enrico Ruffoni, il casér, il fido braccio destro di Ciapparelli ci ha fatto assaggiare i salumi che produce per sé, tra questi un prodotto particolare di Gerola, guanciale di maiale infarcito di pancetta e... stagionatissimo.


Si è degustata nel calécc anche la bresaola di Chianina, prodotta e stagionata nella valtellinese val Malenco di Simone Fracassi (il re della Chianina). Vere rarità. Mentre con Ciapparelli, Mario Chiarada (patron della Zago) e altri effettuavamo queste degustazioni 'extra' ci siamo detti "Con quello che facciamo per questi prodotti ce lo meritiamo". Queste 'pause' per quanto memorabili sono state abbastanza brevi. Nel calécc sono passati parecchi personaggi legati alla storia del Bitto storico (oltre ad amici e conoscenti vari). Nella foto sotto oltre a Ciapparelli e alla intervistatrice c sono altri due personaggi: Cristina Gusmeroli e il suo fidanzato Andrea.


Cristina è la giovanissima casara che ha iniziato a fare Bitto storico (da sola) a quindici anni. Ora ha diciassete anni ed è venura sino a Bra con Andrea. Al laboratorio dei giovani casari lei era la più giovane ma ha saputo tenere alto l'nore del Bitto storico egregiamente. Non ho assistito al laboratorio (dovevo presideiare il calécc) ma mi è stato riferito che la miscela di candore, determnazione, competenza di Cristina ha commosso i presenti che si sono alzati in piedi per applaudirla. Se lo merita. La sua è una storia bella anche per come ha conosciuto Andrea. Abitano in paesi vicini ma si sono conosciuta su facebook parlando di capre e per la precisione commentando un mio post sulla capra Annette. Una capra ossolana di diciassette anni di cui ho parlato più volte qui su Ruralpini ma anche su fb. Andrea è un allevatore per passione. Ha capre Orobiche e una vacchetta Grigia. Da quando sono fidanzati le da in guardia alla sua ragazza. Mi hanno parlato molto bene della vacchetta che,  piccola e agile, produce molto latte ed è buona da mungere. Si può non commuoversi con la storia di questi ragazzi?


Nella foto sopra possiamo vedere il calécc collocato tra lo stand del Presidio del Bitto storico e lo spazio coperto della Piazza della Resistenza casearia. Anche a Bra il calécc - o meglio iltendùn che lo copriva - ha fatto il suo dovere. Sabato sera si è scatenato uno statemp(espressione lombarda per indicare un evento metereologico violento). La tenda non ha lasciato filtrare una goccia mentre l'acqua entrava a ruscelli scorrendo lungo il cordolo del marciapiede. C'è stata un po' di confusione, è saltata la luce (anche negli stand) e c'è stata la corsa a riparare dall'acqua i materiali esposti o appoggiati a terra. Il calécc ha rappresentato una nota di autenticità pastorale. Negli stand dei presidi comunque non mancavano veri pastori e alpeggiatori (come testimoniato dalle facce famigliari o no che si incontravano)I Presidi, al di là delle critiche a quello uno piuttosto che all'altro (che non siano tutti 'duri e puri' , hanno consentito ad un mondo che prima non aveva accesso a una ribalta di entrare in contatto con un mondo che prima era molto distante, quello della ristorazione, delle rivendite specializzate, dei Gas, delle associazioni. La dimensione locale va salvaguardata ma se non ci sono canali con l'esterno dove il mondo è tutt'altro che ostile essa rischia di morire per soffocamento in balia di interessati 'mediatori' (commerciali, politici, burocratici, tecnici). Passando su e giù dagli stand dei presidi e cogliendo spezzoni di conversazioni ho avuto la sensazione che questi canali siano attivati.


L'esperienza di Cheese mi ha consentito di rivedere gli stereotipi sui 'giovani d'oggi'. Ci sono  i ragazzi come Cristina ma anche i giovani e giovanissimi contadini o pastori della nuova generazione. Durante la presentazione del Bitto e in altre occasioni Paolo Ciapparelli lo ha ribadito più volte "date ai ragazzi delle motivazioni, pagate il giusto i loro prodotti e ne entreranno parecchi in agricoltura". Non c'è altra via per salvare l'agricoltura di qualità, per avere cibo buono pulito e giusto. Ci vuole una nuova leva di contadini. Oltre a garantire prezzi etici vanno anche tolte la burocrazia e le corsie preferenziali per l'agricoltura 'imprenditoriale', delle monocolture, dell'ipermeccanizazione e chimicizzazione legata all'industria. A parte i pastori e casari presenti anche gli altri giovani che hanno lavorato agli stand sono ben diversi dall'immagine del ragazzo bamboccione. Monica, la ragazza che raccoglieva le prenotazioni per le degustazioni (foto sopra e sotto) è una studentessa di Scienze gastronomiche che parla un inglese molto fluent. Ha lavorato senza sosta mettendoci del suo, promuovendo con passione quello che 'vendeva'; illustrando i contenuti delle degustazioni che nel programma scritto erano state presentate in modo molto sintetico. Ho dovuto quasi costringerla a staccare per 'farsi' una degustazione dicendole che l'avrei sostituita volentieri per un po'. Dopo pochi minuti me la vedevo tornare e riprendere con entusiasmo il lavoro. Giovani scansafatiche? Sì, purtroppo ce ne sono parecchi (parlo per esperienza personale con gli studenti) ma altri sono anche meglio delle generazioni precedenti.


Queste considerazioni sui giovani tutt'altro che demotivati e scansafatiche valgono anche per i ragazzi dello stand del Bitto storico (sotto). Anche loro - pur concedendosi brevi turni - hanno lavorato in modo accanito. Si tratta di ragazzi che per la maggior parte non sono direttamente coinvolti come produttori ma, pur lavorando in altri settori (pubblicità, turismo) sentono molto la causa del Bitto storico, tanto da dedicarle il loro lavoro volontario. Per alcuni si tratta di un impegno saltuario, per altri più continuativo (come quelli che curano il sito). Vendere il Bitto storico (con prezzi sino a 75 € al kg) è diverso rispetto a vendere un formaggio qualsiasi. La gente chiede spiegazioni, vuole sapere che storia c'è dietro. E qui ho notato che oltre alla passione questi ragazzi hanno anche una preparazione 'politica' che è frutto anche di quello che vado scrivendo e dicendo sul Bitto da anni. È bello sentirsi un 'cattivo maestro', un 'sobillatore' se la causa 'sovversiva' che promuovi è una causa cristallina come quella del Bitto storico.
È stato anche  bello sentire mescolare considerazioni politiche e informazioni tecniche e commerciali, sentire il trasporto con cui le vicende della 'guerra del Bitto' vengono - in pillole ma correttamente - veicolate al pubblico di Cheese. Anche in questo si percepiva che questa non è solo una fiera.


Sul banco del calécc campeggiava una forma di Bitto storico molto particolare. Intanto è una forma dl 2004 che reca il marchio "Valli del Bitto" (utilizzato tra il 2003 e il 2005), poi ha una storia singolare. Qualche giorno prima di Cheese ha ferito Ciapparelli. Il nostro guerriero, dopo tante battaglie, è stato colpito da una delle sue creature. Una creatura che ha salvato, evitando che cadesse a terra. Ma nel salvarla dalla caduta l'ha presa in faccia e una forma di sette anni, con gli spigoli vivi dovuti alla convessità dello scalzo del Bitto, fa male. Così Paolo ha dovuto farsi suturare con cinque punti la ferita sopra il labbro. Per concedere alla forma traditrice di redimersi Paolo ha ben pensato di trasformarla in testimonial della campagna di azionariato popolare (foto sotto). Io non posso che rilanciare l'appello scritto sul piatto ricordando a tutti gli amici del Bitto storico la possibilità di diventare soci della società etica che commercializza sottoscrivendo almeno una azione (150€) come diventare azionisti




A Cheese il Bitto storico ha ribadito di essere Bitto storico orobico, parte integrante dell'alleanza dei formaggi orobici, un'alleanza che ha provato un centro propulsore in alta val Brembana e in particolare a Branzi dove settimana prossima (24-25 settembre) si terrà la Fiera di S.Matteo. Tra gli animatori dell'allenza Francesco Maroni (latteria di Branzi e presidente della Fiera di S.Matteo), Alvaro Ravasio (presidente del Consorzio Starchitunt) e Ferdy Quarteroni (produttore di Formai de Mut e patron dell'agriturismo Ferdy).


Al progetto di "distretto rurale" orobico, vero progetto di massiccio che unisce valli di tre provincie, Ferdy porta la sua esperienza di agriturismo ruralpino di avanguardia. Da anni lavora con i ragazzi. Le sue settimane verdi che prevedono l'alzarsi presto la mattina e il lavoro in alpeggio sono frequentate da numerosi ragazzi che vengono da varie parte d'Italia. Fanno sport, si 'immergono nella natura' ma imparano a vederla anche con gli occhi del contadino svolgendo una serie di lavori e imparando alcune manualità contadine.


Torniamo al Bitto storico. La degustazione clou è consistita in una verticale con tre annate: 2007 (alpe Cavizzola), 2005 (alpe Ancogno s.) e 2001 (alpe Ancogno s.). Dieci anni e non li dimostra verrebbe da dire. La forma del 2001 è quella che nella foto sotto 'regge' le altre. A parte gli occhi bianchi che non sono occhi ma accumuli dell'aminoacido tirosina (come nel Grana stravecchio) la pasta non differiva da quella della forma più giovane. La scagliatura era analoga. Insomma un formaggio vivo e vegeto che alla degustazione ha raccolto anche più consensi del 2005. Cosa dire? Che quando si dice che il Bitto storico può invecchiare dieci anni non sono balle (hinn minga ball). Certo non c'è un mercato. Le forme sono poche e conservate gelosamente ("quando ne apro una - dice Ciapparelli - è una tristezza perché è una in meno"). Però si possono acquistare le forme di sei-sette anni senza problemi (consapevoli del costo). Ma nel settore enologico non ci sono bottiglie da migliaia di euro?


Sotto il Bitto storico decennale con Mario Chiaradia (birra Zago) e Paolo Ciapparelli. In questa degustazione l'accompagnatore dei bitti stravecchi è stato lo Sfurzat 5 stelle Negri ma nell'altra verticale con annate meno 'vertiginose' la birra Zago ha degnissimamente affiancato il super Bitto. Si parla di una birra rifermentata in bottiglia con metodo champenoise, nata nel 2006 e imbottigliata nel 2008 con 11 gradi alcolici. Sotto ci sono filosofie simili, l'allevamento dei microbi, la pazienza. Non basta "bisogna anche essere un po' matti" (dicono di sé stessi i papà di questi prodotti). Per fortuna che questi 'matti' esistono.

sabato 10 settembre 2011

A Cheese2001 Bitto storico protagonista (e sono orgoglioso di dare un contributo)

(10.09.11) Aspetto tutti gli amici di Ruralpini e del formaggio buono pulito e giusto a Bra dal 16 al 19. Al calécc che apre l'esposizione del formaggi dei presidi e alla presentazione del libro "I ribelli del bitto"

di Michele Corti

Mancano pochi giorni a Cheese 2001. Oltre ai produttori, guidati dal formidabile 'guerriero del Bitto' (Paolo Ciapparelli) si stanno preparando al grande evento anche i paladini del Bitto come me. Ma tutti potete diventare paladini di questo straordinario  formaggio che sta diventando un punto di riferimento per le esperienze di resistenza casearia in Italia e nel mondo.

La grande visibilità del Bitto storico a Cheese2011: in nome della resistenza casearia

Durante la manifestazione i produttori del Bitto storico Presidio Slow Food gestiranno insieme ai "Formaggi principi delle Orobie" lo spazio della  Piazza della resistenza casearia (piazza Valfrè di Bonzo – ex Mercato dei polli)(punto 7 della mappa - in alto). Nello spirito di una solidarietà concreta in questo stesso spazio sranno ospitati - in nome della resistenza casearia - piccoli produttori di diverse parti d'Italia. Nello spazio i ribelli del Bitto accoglieranno i visitatori con degustazioni di Bitto, polenta e pizzoccheri, oltre ai formaggi delle Orobie che comprendono il (vero) Branzi, lo Strachitunt (dop in itinere), il Formai del Mut Dop, lo Stracchino all'antica delle OrobiePresidio Slow Food, l'  Agrì di Valtorta Presideio Slow Food. Accanto alla Piazza della Resistenza allestiranno un calècc, una delle mitiche 'capanne casearie', ancora utilizzate per produrre il Bitto storico direttamente sul pascolo. Un sistema che è al vertice assoluto della qualità: non è la mucca che si sposta, è il caseificio! La madria (detta localmente malga) viene munta davanti al calécc e il latte raccolto ne secchio viene svuotato direttamente nella caldaia. Il calècc, di Bra sarà collocato in modo da collegare la Piazza della Resistenza casearia con lo stand ufficiale del Bitto storico.
E qui entro in scena io, perché  nel calécc  troverete me. Ovviamente fatti salvi alcuni giri per gli stand amici e alcuni momenti imperdibili quali la presentazione del mio libro "I ribelli del Bitto" (sabato 17 ore 17 presso Slow Food editore in Via della Mendicità istruita 45), l'assegnazione del premio Resistenza casearia (venerdì 16 ore 16 in Piazza Martiri), il dibattito sui giovani pastori e alpeggiatori (domenica 18 alle 12). Cosa sarò a fare nel calécc?

Azionariato popolare

Oltre a presentare a tu per tu quella che è stata la mia 'fatica letteraria' (una volta si diceva così ma c'era del vero....) di cui sotto potete conoscere i dettagli e leggere la Prefazione di Piero Sardo, il compito che mi sono assegnato da Paladino del Bitto storico (ovviamente d'accordo con i produttori ribelli e la Bitto trading) è quello di promuovere l'azionariato popolare. Una idea che ho accolto entusiasticamente quando Ciapparelli l'ha lanciata perché traduce in realtà quanto si dice e si pratica da anni (all'estero però) sulle nuove forme di supporto dal basso ai produttori agricoli. Che rientrano nella formula di Carlin Petrini del 'coproduttore'. Lascio alle parole del comunicato ufficiale di Slow Food spiegare cosa succederà a Cheese.
Proprio per supportare finanziariamente i casari coinvolti nella produzione tradizionale di questo prodotto dalle straordinarie capacità di invecchiamento, è nata la Valli del Bitto trading spa. Si tratta di una società per azioni capeggiata dal presidente dei produttori e costituita dagli stessi casari e da piccoli imprenditori e professionisti. La società, spinta dal successo dell’iniziativa, ha deciso di incentivare la partecipazione al progetto di tutela del bitto storico attraverso un azionariato popolare con il quale chiunque può mettere a disposizione una quota. Una vera e propria community supported agriculture del formaggio in cui il consumatore, sostenendo finanziariamente l’impresa, si trasforma in coproduttore. A Cheese gli stessi casari, primi “azionisti” dell’iniziativa, presentano al pubblico i progetti per la crescita della produzione e dell’invecchiamento del bitto e per lo sviluppo del territorio e del turismo nelle vallate.
A me l'onore di spiegare ai potenziali coproduttori del Bitto storico come si fa a partecipare all'azionariato popolare. Per gli interessati vi sarà la possibilità di compilare i moduli di prenotazione delle quote azionarie della società etica che rappresenta il braccio operativo del Consorzio salvaguardia del Bitto storico (da non confondere con il Consorzio ufficiale CTCB contro cui si è sviluppata la ribellione). Notizie più dettagliate le trovate già nell'articoloDecolla l'azionariato popolare per il Bitto storico . Anticipo che è sufficiente un versamento di 150€ (la taglia delle quote) per diventare azionisti etici del Bitto storico. L'aumento di capitale sarà deciso tra qualche settimana e tutti coloro che hanno prenotato le azioni diventeranno a tutt gli effetti soci. Naturalmente sarò anche a disposizione di tutti coloro che vogliono saperne di più sul Bitto storico, sulla sua storia antica e recente. È un grande onore per me essere il consulente culturale (a titolo volontario) dei ribelli e spero che molti di voi si uniranno a me nel ruolo di Paladini del Bitto storico (stiamo formalizzando anche una associazione culturale con questo nome).


I ribelli sono ora un libro

L'idea covava nella testa da parecchio (non anticipo quanto scritto nell'introduzione). C'era il titolo e la condivisione da parte di Slow Food. Vuole essere una cronistoria e un racconto di parte ma senza rinunciare al rigore dell'opera documentata. Forse qualche passaggio è un po' da saggio accademico ma nel complesso credo che pulsi la passione e mi auguro che questa passione sia contagiosa. Per ora mi limito a presentarlo con le parle di Piero Sardo (sotto la Prefazione). Dopo Bra pubblicherò l'Introduzione.

Testi: Michele Corti
Titolo: I ribelli del bitto. Quando una tradizione casearia diventa eversiva
Collana: asSaggi
Prezzo: 14,50 euro - prezzo soci Slow Food 11,50 euro
Pagine: 192
Formato: 13x21
La presentazione avverrà in anteprima il giorno 17 settembre alle ore 17 presso il Caffè letterario e musicale nel cortile di Slow Food editore, durante la manifestazione Cheese. L'indirizzo è via della Mendicità Istruita 45, BRA (Cn) (vedi punto 12 in mappa)
La ribellione anima un’intera comunità che si riconosce attorno a una specificità negata in nome della standardizzazione
Ne parlano:
Michele Corti, docente universitario, blogger, ruralista e autore del libro
Piero Sardo, presidente della Fondazione Slow Food per la Biodiversità
Con la partecipazione dei produttori del Bitto storico
L’assaggio: il bitto storico degli alpeggi ribelli delle Orobie occidentali: valle del Bitto (So), dalta val Brembana (Bg) e alta val Varrone (Lc) - Presidio Slow Food


Non usa fare autorecensioni. Con piacere però riporto a presentazione del libro  la prefazione dell'amico Piero Sardo. Il ruolo di Piero nella vicenda è stato cruciale. Spero che emerga comunque dalla esposizione delle vicende del Bitto anche se Piero ha voluto che fosse ridimensionato il paragrafo che lo riguardava con considerazioni tratte da esperienze di prima mano, dalla mia testimonianza dall'interno della 'vicenda Bitto'. Non è frequente trovare che si comporta come Piero e in questa sede, e nelle occasioni in cui avrò la possibilità di farlo, ci tengo a farlo sapere.

Prefazione di Piero Sardo a "I ribelli del bitto"

Perché lo fanno? Perché questo gruppo di malgari valtellinesi da anni si rifiuta di assecondare le indicazioni delle istituzioni – consorzi, assessorati, sindaci, ministero – e rivendica orgogliosamente la sua diversità? Sarà questa la domanda che vi porrete quando avrete letto le pagine di questo libro, quando avrete seguito capitolo per capitolo gli eventi narrati da Michele Corti, le tappe di un decennale conflitto che è stato sintetizzato nel titolo I ribelli del bitto. Per lo meno è la domanda che io mi sono posto, non certo per dubitare della straordinaria valenza politica di questa battaglia, alla quale non posso che applaudire, ma per tentare di capire le opzioni psicologiche in gioco, le ragioni sociali di questa gente e di queste comunità.
Va detto che nella vicenda non sono neutrale: il rapporto che lega Slow Food ai ribelli del bitto è di antica data e di grande condivisione. Ma molti, moltissimi lettori meno coinvolti, invece, se la porranno la domanda, non tanto per capire, ma per dar sfogo, magari inconsciamente, alla solita italianissima dietrologia, all’immancabile «cosa c’è sotto?».
In questi anni abbiamo assistito a gesti di reazione assai più eclatanti di questa ribellione: operai su torri e ciminiere, digiuni devastanti, dissidenti che hanno sacrificato la vita per un’idea, giovani che sfidavano la repressione più violenta per manifestare il loro dissenso. Ma in questi casi i termini della questione erano chiari, era in gioco il lavoro, la libertà di espressione, la dignità sociale e politica: si poteva essere d’accordo o no con leproteste, ma non vi era dubbio sulle ragioni delle stesse.
Nella vicenda del bitto e dei suoi protagonisti le ragioni del conflitto sono chiare e il libro ben le sottolinea, ma la posta in gioco non pare così evidente. Loro continuerebbero comunque a fare i malgari, a produrre bitto come meglio credono, a venderlo alla sempre più folta schiera di appassionati e conoscitori, anche rientrando nei ranghi, anche accettando le regole che altri hanno dettato per questo antico formaggio. E infatti assessori e funzionari, ogni volta che si vedono respinte le proposte di mediazione, scuotono il capo un poco increduli: «cosa c’è sotto?».
Provo a spiegarla raccontandovi di mia nonna. Lo so, raccontare della famiglia è uno snodo usurato e retorico, ma l’esempio secondo me è calzante e aiuta a comprendere.
Mia nonna Nina era una cuoca straordinaria, cucinava un mix di piatti liguri e monferrini che non ho mai più ritrovato a tale livello di perfezione. Verdure ripiene, zuppe di legumi, torte verdi salate, agnolotti quadrati, gnocchi, coniglio al barbera, cima alla genovese, pollo alla cacciatora, subric, peperoni in salsa, batsoà e così via, per un ricettario magari non amplissimo, ma irresistibile. Tutti i giorni. Le materie prime erano direttamente sotto il suo controllo: viveva in campagna e allevava polli, faraone e conigli, coltivava l’orto, metteva via personalmente frutta, verdure, conserve di pomodoro. E decapitava oche, scuoiava conigli, tirava il collo a capponi con la pacata indifferenza tipica dei contadini e del loro duro, a volte crudele, rapporto con gli animali, anche se lei non era di famiglia contadina. Ma per cucinare bene le carni, diceva, gli animali bisogna ucciderli di persona, senza farli soffrire, senza trasportarli, senza spaventarli: così si capisce bene quanto vale quella carne e come bisogna cuocerla. Tant’è vero che a casa nostra si mangiava raramente carne bovina: perché arrivava da altre mani. E per far questo tutte le sante mattine era in piedi alle sei, estate e inverno, che dovesse cucinare per sé e suo marito o per venti, quanti eravamo nelle feste del paese fra figli e nipoti. Alle sei e mezza le pignatte erano sul fuoco e così per tutta la mattina era un andare e venire tra orto, pollaio e cucina. Lo ha fatto sino a ottant’anni, prescindendo da una ragione precisa: lo ha fatto perché era il suo modo di concepire la cura della casa, di preparare il cibo, la sua volontà di non cedere al supermercato, al pelato in scatola, ai filetti di pollo, all’insalata in sacchetto. Non era una ribellione, era un modo di essere, non aveva obiettivi da raggiungere. A volte eravamo noi, i parenti, a dirle: «rilassati, non è il caso, basta stare un poco assieme». Potreste addirittura giudicarla una forma di pacata follia, e forse lo era, ma per lei era nulla di più e nulla di meno di quel che andava fatto. E solo quando non abbiamo più potuto godere di quella cucina ci siamo resi conto di quanto avevamo perso. Mentre lei c’era e cucinava, a noi pareva la normalità avere quei piatti e a lei pareva normale fare come faceva.
Questa mia esperienza personale si lega alla vicenda del bitto storico perché l’unica spiegazione che può rendere conto dei comportamenti di Nina e dei ribelli si basa su motivazioni non economiche, ma direi – senza paura di esagerare – etiche. Il lavoro dei malgari, di questi malgari – tra i più duri per fatica fisica, impegno, tempo e competenze necessarie che oggi sia dato conoscere – sopravvive per ragioni essenzialmente culturali ed etiche. Certo, la remunerazione conta e ci mancherebbe: il bitto dei ribelli, grazie anche al lavoro di Paolo Ciapparelli e dell’Associazione, vale più del doppio del formaggio del Consorzio, e questo è importante per rinsaldare motivazioni e dettare strategie. Ma, come dicevo prima, potrebbero continuare a produrlo anche se fossero all’interno del Consorzio, anche se accettassero di sottostare a un disciplinare che non condividono. Anzi, potrebbero usufruire delle elargizioni che molti promettono, a patto che cessi il conflitto.
Non accettano di essere assimilati agli “accomodanti” – chiamiamoli così tanto per capirci – perché sanno benissimo che così facendo alla fine il loro destino sarebbe segnato. Ma gari non loro, ma chi verrà dopo di loro comincerà a chiedersi il perché di tanta fatica, le ragioni di tanta intransigenza, e comincerà a cedere, a usare fermenti e mangimi, ad abbassare la quota del latte caprino, ad abbandonare la caseificazione nei calécc: insomma a rinunciare piano piano alla monticazione tradizionale e al bitto storico.
Per evitare proprio questo probabilissimo cedimento, hanno deciso, da anni ormai, di fare di questa loro opzione una scelta di vita, un filo che lega un’intera comunità alla sua storia, al suo habitat, al suo futuro. Non è una pura e semplice questione di identità da preservare: troppe nefandezze vengono commesse nel mondo in nome dell’identità, del localismo cieco, del particolarismo. Basterà leggersi lo splendido libretto di Amin Maaluf, L’identità, per comprendere a fondo quanti pericoli si celino dietro questo concetto, che pure è sacrosanto rivendicare. Non vi diranno mai «noi siamo i puri, gli altri hanno venduto l’anima». Sanno benissimo che anche gli altri, gli accomodanti, vanno in alpeggio, faticano, credono nella tradizione, producono buoni formaggi: ma hanno fatto un passo indietro. Vi diranno: «noi facciamo così perché questo a noi pare il modo corretto di fare, perché questo è quanto facevano i nostri padri e i nostri nonni su queste montagne».
Ora, senza bitto storico si può certamente vivere, se ne può fare a meno. Come si può fare a meno di Mozart, delle chiese romaniche, di Thomas Mann: ma la deriva che innesca questo fare a meno può avere conseguenze catastrofiche, perdonatemi l’enfasi, per la nostra umanità, per la nostra civiltà. Se vi pare eccessivo, sicuramente avrà effetti deleteri per l’ambiente alpino e per l’eccellenza casearia. Vi pare poco? Mi auguro di no. Per Slow Food questa è una grande lezione, una fonte di ispirazione e di incoraggiamento, alla quale non siamo disposti a rinunciare senza lottare con i ribelli.