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sabato 16 luglio 2016

Bitto. Fa paura alla casta lo "storico"che cambia nome

E' bittexit. La rabbia (e la paura) dell'establishment per l'ex Bitto storico che cambia nome. Fiera dell'ipocrisia. Ma qualcuno getta la maschera

Il Bitto storico non esiste più. L'hanno strumentalizzato, sfruttato, minacciato, denigrato. Ora la piccola leggendaria produzione degli alpeggi orobici si dota di un proprio nome commerciale, troncando con la dop che le ha scippato il nome, con i ricatti, con la confusione con un Bitto Dop che è "istituzionale” e "legale" (ma che con quello della storia non c'entra nulla).Tanto vale quindi utilizzare un nome conquistato sul campo in vent'anni di lotta. Un nome che, pur nuovo di pacca, è la storia. Lo “storico” non potrà più essere scambiato con il “nuovo bitto” dei mangimi e dei fermenti. E l' immagine di quest'ultimo non ne guadagnerà. 

Una conseguenza voluta da chi per anni ha fatto il furbo, evitando una vera soluzione per il Bitto storico e alimentando una situazione ambigua (ma dalla quale hanno tratto in diversi profitto). Proveranno a incolpare di "lesa immagine del Bitto e della Valtellina" dei piccoli produttori onesti, che hanno dovuto rinunciare al nome, un nome che utilizzavano da sempre e che gli è stato scippato da una dop basata su falsi storici.  Che sono costretti - per evitare reati penali - a chiamare il proprio prodotto con un  nome commerciale, esercitando peraltro un sacrosanto e insindacabile diritto. 

Ovviamente accuse così strampalate si ritorceranno contro chi le avanzerà. Ecco perché il Bitto storico che cambia nome sta spaventando non pochi della casta di potere in Valtellina. LA FIGURACCIA PER LA VALTELLINA AL SALONE DEL GUSTO DI TORINO SARA' DI QUELLE COSMICHE E LE RESPONSABILITA' PERSONALI EMERGERANNO. I RIBELLI DEL BITTO SONO PRONTI A FARE NOMI E COGNOMI. COMODO NASCONDERSI DIETRO IL CESPUGLIO ISTITUZIONALE E NON METTERCI LA FACCIA (se non quando fa comodo).



Era tanto comodo parlare di Bitto storico... e far vedere l'etichetta rossa

Faceva troppo comodo all'establishment agroindustriale e burocratico valtellinese un Bitto storico dal precario status giuridico, anzi, del tutto fuorilegge. Faceva comodo poter confondere le idee ai consumatori (quante volte articoli, anche di sinceri amici dello "storico", avevano "allegata" la foto con la fatidica etichetta rossa). Una promozione gratuita, immeritata, parassitaria.
Troppi  blogger, giornalisti - più o meno professionisti  - parlavano di "Bitto storico" e lo confondevano con il "Bitto legale", con il "Bitto istituzionale", con il Bitto dei mangimi e dei fermenti industriali, e senza latte di capra.
Faceva comodo mettere davanti la vera eccellenza del Bitto storico, frutto di tanti sacrifici e della strenua opposizione all'omologazione voluta dalle istituzioni locali, e poi proclamare che "c'è un unico sistema bitto", "non ci sono poi tante differenze".  Incassando le royalties di una fama internazionale costruita dal Bitto storico con l'aiuto di Slow food.
Questa frase fatidica "non c'è poi tanta differenza",  decisamente qualunquista,  l'ha pronunciata uno dei non pochi nemici del Bitto storico: Emanuele Bertolini, presidente della Camera di commercio, l'ente autore  del "falso storico" che consentì all'Unione Europea di approvare una dop tarocca. Tanto tarocca che, sino all'anno prima, la Camera di commercio assegnava il suo marchio "Bitto Valtellina" solo al formaggio prodotto nella Comunità montana di Morbegno. Poi, per miracolo, o per cecità improvvisa dei tanti che dovevano controllare, lo stesso formaggio che la Camera attestava prodursi "solo nella bassa Valtellina" venne dichiarato, di colpo, tradizionale e prodotto da almeno 25 anni in tutta la provincia di Sondrio. E allora non c'è da meravigliarsi se il Bertolini la frase fatidica "non c'è poi tanta differenza tra i due bitti" l'abbia proferita non al culmine di un contraddittorio con i ribelli, ma - a testimonianza di una vicenda che è anche surreale -  il giorno della storica "pace del bitto" (l'ennesima presa per i fondelli), celebrata il 10 novembre 2014 a Gerola alta.



"Figuriamoci se avete il coraggio di cambiare nome"

Alla Camera di commercio, alla Coldiretti, al Ctcb, all'associazione provinciale allevatori, alla Latteria sociale Valtellina, alle agenzie del potere agricolo un Bitto storico perennemente sotto scacco (dopo le sanzioni per "lesa dop" comminate nel 2009) faceva estremamente comodo. A loro e ai burocrati regionali con loro in stretta contiguità. Quando, nell'ottobre 2015, l'assessore Fava tentò una mediazione in extremis (convocando in Regione Lombardia le parti), la vestale delle dop lombarde, la Dott.ssa Parma - più realista del re nel tutelare il Consorzio ufficiale dai cattivoni  "ribelli del Bitto" -  fu l'unica a reagire all'ipotesi di cambiamento del nome del Bitto storico messa sul tappeto da Ciapparelli. Quando sentì dire da Paolo Ciapparelli che i produttori dello "storico" erano pronti a cambiare nome, trasalì e, con aria di sfida, apostrofò Ciapparelli con un: "figuriamoci se avrete il coraggio di farlo".  



 Forse gli altri presenti, che sul momento non dissero nulla, pensarono che il loro gioco era finito. Fare finta da una parte di esecrare l'inaffidabile, incontentabile, indisciplinato, anarchico Ciapparelli e, dall'altra,  benedire l'esistenza del Bitto storico che, confondendo le carte, serviva egregiamente a sostenere l'immagine di un prodotto massificato, con la qualità in declino era troppo bello. Ma il gioco è arrivato alla fine. Di qui il nervosismo che serpeggia negli uffici della gente che conta in Valtellina. Quelli che si credono i padroni dell'agroalimentare.
Mai si è vista una mobilitazione di politici, burocrati,  amministratori sul tema Bitto come in queste ultime settimane quando, prima come indiscrezione filtrata, poi con un annuncio formale, Ciapparelli ha comunicato che il cambio di nome era ormai deciso e che sarebbe stato ufficializzato a settembre 2016 al Salone del gusto di Torino.  
Chi per anni ha combattuto il Bitto storico se ne è proclamato paladino. "No, giammai, non deve cambiare nome". Sepolcri imbiancati!
In tanti si sono messi, così, a chiedere "mediazioni", del tutto improbabili dopo che la politica ha avuto vent'anni per affrontare il problema evitando accuratamente di andare al sodo: ammettere che il disciplinare della dop era da rifare. 
Questo della "difesa del Bitto storico" da parte dei suoi nemici è uno spettacolo imbarazzante che ha coinvolto anche dei parlamentari di un partito con forte peso in provincia e in regione.
L'unica posizione onesta, tra tanta ipocrisia, è venuta dall'assessore regionale Fava (nonostante sia dello stesso partito che a Sondrio si esercita nel cerchiobottismo di marca democristiana) . Fava ha ribadito che il "bitto storico è fuorilegge e passibile di denuncia per frode in commercio". Aggiungendo che Ciapparelli non solo fa bene a cambiare nome (anche dal punto di vista commerciale, oltre che legale)  ma che lo fa anche su suo caldo suggerimento e con il suo appoggio (non da privato cittadino ma da assessore regionale).


Anche senza "bitto" chi non riconosce lo storico formaggio ribelle degli alpeggi orobici?. Al bitto dop (legale e istituzionale) sono rimasti la forma e il nome. Allo storico la sostanza, la continuità. l'ammirazione delle persone oneste e che sanno riconoscere un prodotto autentico, la solidarietà della gente comune e degli operatori economici  non legati ai favori delle amministrazioni

La Coldiretti getta la maschera e accusa il Bitto storico di "speculare sulle tradizioni, sulla tipicità, sulla storia, sul territorio"

Tra le tante reazioni vale la pena segnalare quella del presidente provinciale della Coldiretti, Marsetti, perché ha il merito di gettare - almeno in parte - la maschera di ipocrisia,  lanciando senza mezzi termini  l'accusa ai "ribelli del bitto" di "strumentalizzare  la difesa delle tradizioni, della tipicità, della storia, del territorio a fini di mero interesse e di parte".
Una vera diffamazione per gli oltre 100 soci della Società valli del bitto (compresi i produttori agricoli) che, per sostenere il metodo storico, gestendo una casera che è una galleria d'arte, di cultura, di umanità, hanno investito di tasca loro (perdendo parte del capitale a causa di investimenti che avrebbero dovuto essere realizzati dal comune e che sono stati invece accollati alla Società del bitto storico, sulla carta una spa, di fatto una onlus). 
Ma non basta. Il bitto è uno solo, insiste la Coldiretti: "sia che producano BITTO DOP, in riferimento al disciplinare in capo al CTCB,  sia che producano formaggio con il metodo storico, svolgono il medesimo lavoro, in medesimi contesti territoriali quali gli alpeggi".
Ma se svolgessero il medesimo lavoro (che quindi dovrebbe sortire lo stesso prodotto)  vent'anni di conflittualità a cosa sono dovute? Ad allucinazioni? A casi psichiatrici?
Ancora una volta si vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Non si vuole ammettere che i produttori storici e gli altri lavorano in modo diverso. Sarà uguale mungere a mano, o a macchina, usare fermenti e mangimi o non usarli? No cari signori della Coldiretti, il "contesto" non è lo stesso. Chi va a elicotterate di mangime compromette i pascoli e la qualità del formaggio. Il "contesto" è completamente diverso. Ma a voi è finora tornato comodo mettere davanti il "povero contadino" per tutelare il grosso agricoltore i cui interessi si confondono molto spesso con quelli dell'industria e della speculazione. E' un giochino che ha reso bene all'organizzazione (anche se i "contadini" , intanto, in Italia, grazie alla "tutela" della Coldiretti, sparivano).



 Si vuole essere una sola famiglia quando fa comodo (quel che è tuo è mio, quel che mio è mio, ma dobbiamo stare uniti e volerci bene). Si vuole sfruttare il "traino" (Il Bitto storico rappresenta valore aggiunto e può essere traino). Comodo signori, quando in cambio si sono offerte solo prese per i fondelli . 
Il trottatore, non un brocco, ma un Varenne, deve essere aggiogato al carro dei ronzini, ma riceve meno biada, anzi solo la promessa di un po' di fieno marcio (il Ctcb riceve per la promozione  cifre importanti, tanto che con un solo "prodotto" promozionale del Consorzio ufficiale il Centro del bitto metterebbe a posto il bilancio) . Basta. I fessi del Bitto storico dovrebbero ancora assoggettarsi ai sacrifici che comporta il metodo storico per "fare da traino". A chi?  A quelli che producono tanto? O alle macchine mangia soldi pubblici . Più la seconda. Ovviamente Marsetti non lo ammetterà neppure sotto tortura.
Con la consueta demagogia coldirettistica non rinuncia alla  sceneggiata strappalacrime: In ballo, dice, ci sono 60 Imprese Agricole con oltre 120 lavoratori che producono 18.000 forme per un fatturato di oltre 2milioni che corrispondono a oltre 4 milioni di valore al consumo. 
In ballo cosa? Chi mette a repentaglio chi? Vogliono far credere ai loro associati produttori di bitto dop che sarà il cambio di nome di 1500 forme di formaggio - indispensabile per non incorrere in reati penali - a rovinarli? Di cosa parliamo? 
Se Marsetti vuole difendere l'immagine del Bitto dop si dia da fare affinché i tanti soldoni che la Regione eroga per la promozione a favore dei vari enti vadano a buon fine invece che oliare le clientele.

I ribelli sono montanari, non hanno le malizie degli azzeccagarbugli e dei faccendieri ma non sono imbecilli

La Coldiretti non ha realizzato che i "ribelli del bitto" non hanno l'anello al naso. Hanno capito benissimo quali interessi tutela la Coldiretti (e tutto il "sistema"), non certo i loro. I loro, lo sanno da tempo, devono tutelarseli da soli.  Sarebbero masochisti se non cautelassero la propria attività legandola ad un marchio commerciale che nessuna istituzione, partito, sindacato, potentato, lobby, consorzio potranno più  ricattare o comunque condizionare. Sarebbero masochisti se non capitalizzassero in un marchio di loro proprietà il lavoro fatto con tanti sacrifici economici (e non) per salvare non tanto il "Bitto" (ormai un nome svuotato del suo fascino e del legame con la storia prestigiosa) ma quel patrimonio storico sedimentato che fa dello storico formaggio degli alpeggio delle Orobie occidentali un bene storico-culturale che nessun burocrate di Milano, di Roma o di Bruxelles, nessuna lobby possono più pensare di tenere in ostaggio con le loro "regole europee".

Se ne facciano una ragione Marsetti e i suoi simili




1 commento:

  1. Condivido appieno l'iniziativa intrapresa da Michele Corti.. e la trovo giustissima..

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